M. Bonicatti - Catalogo Mokele Mbembe, Spazio G Ravenna-1985

Mokele-Mbembe

di Maurzio Bonicatti


Catalogo mostra Galleria Spazio G

Ravenna, 1985


Dipingere anacronistici paesaggi ottocenteschi ed altri generi desueti ai nostri giorni, oppure inventarsi immagini teriomorfe è, a priori, un'attitudine indicativa, di personalità psichiche molto diverse, di basi culturali pressochè estranee; delle prime potranno occuparsi i formalisti, mentre le altre sollecitano l'interesse di psicologi od epistemologi. Nell'incontrare Mirella Saluzzo cominciai a supporre una singolare ricchezza di contenuti introiettati nel Se profondo di quella psiche; allora essa aveva dipinto L'ultimo drago (1984) ma non aveva ancora scritto:


Osservi

dal tuo nascondiglio

lo strano raduno:

uomini

sulle tue tracce

[...]

Cancella bene le tue tracce,

non farti sorprendere nel sonno



una denotazione associativa, con l'esperienza tipica e ricorrente del teatro onirico in cui ogni soggetto si rappresenta simultaneamente come spettatore ed attore sulla scena; nel contenuto latente subentra forse un'ansia di persecuzione, una fantasia di nascondimento protettivo da insidie fantasmatiche, non oggettivabili; nel regime di sonno si è «sorpresi» da sogni perturbanti, e per non farsi sorprendere si interrompe talora il sonno con un risveglio d'angoscia. I versi estrapolati sopra si riferiscono, nell'intenzione conscia, all'ipotesi della sopravvivenza, nel Congo, di alcuni esemplari d'una specie estinta alla fine del Mesozoico, che alcuni fantasiosi paleontologi americani hanno formulato senza esiti probativi, e che e stata ripresa da qualche rivistina di cattiva divulgazione scientifica.

Ma l'inverosimile esistenza biologica di un taxon estinto da 70 milioni di anni, è prova del bisogno nell'uomo modemo di trascendere i limiti riduttivi del presente: onde riappropriarsi delle formazioni d'un mondo primordiale, del tutto eterogeneo dal nostro - l’ Imago d'un Antimondo. Tale bisogno, per essere esaudito, vuole scoprire modelli antitetici alla nostra cultura, da sopraffare, traendone un confronto rassicurante ai fini della propria identità (così i magistrati hanno bisogno dei delinquenti per dirsi giusti, i moralisti hanno bisogno dei peccatori per sentirsi virtuosi, i terapeuti dei malati per credersi sani, gli esploratori ed i domatori devono trovare animali selvaggi da rendere docili e conformi alla civiltà).

Da ultimo, durante un seminario in un ex ospedale neuropsichiatrico, uno psicologo mi chiese quale fosse l’origine psichica del bisogno che spinge l'uomo a perseguitare tutto ciò che è nomade (abbattere gli stormi di volatili migratori, oppure mettere fuori legge i vagabondi senza fissa dimora, diffidare degli zingari, e via dicendo); la risposta al quesito sembra univoca: la paura di riconoscersi nell'identità del nomadismo d'un esilio irreversibile (identità che permane immutata nell'uomo arcaico e modemo, dopo la cacciata dall'Eden). Ricordai in quell'occasione che l’archetipo della mostruosità del nomadismo esule trova una mitopoiesi nel terzo libro dell'Eneide, con la simbolizzazione di Celaeno (le Arpie nell'Odissea vengono solo denominate, senza attributi teriomorfi): nella prima fase dell'esilio, dopo l’abbandono della patria, per Enea ed i suoi compagni la coscienza della nuova condizione di nomadi si esprime in Celaeno assumendo la morfologia mostruosa d'una «cattiva madre» (una madre deprivativa che, nel mito, sottrae il cibo a Fineo e deturpa gli alimenti degli esuli); la mostruosità di questa madre è dunque generata dal riscontro con la madre patria - un processo di separazione dalla filogenesi, simbolizzato nel mito come sofferenza psicoaffettiva. L'esilio, tuttavia, è un destino senza ritorno. Dunque si attribuisce forma mostruosa (come rappresentazione di contenuti psichici negativi) a tutto ciò che è irrecuperabile nel proprio vissuto: e ciò assume il denominativo di «primordiale» per effetto del distanziamento con cui si va lontano entro noi stessi (effetto, insieme, della colorazione nostalgica che accompagna sempre il primordiale); oppure, in un'altra angolatura ermeneutica, l’epifania del mostruoso significa: esprimere fuori del Se - esteriormente - i più drammatici accadimenti interiori (come se questi trovassero una credibilità solo nel ricevere senso storico, conforme allo storicismo in cui si è riconosciuta la nostra epoca). L'incapacità di elaborare gli accadimenti interiori alla luce della trascendenza, deriva al nostro tempo dalla demitizzazione del Sacro; la nostalgia del primordiale, rimasta senza quell'elaborazione, produce il teriomorfismo sotto aspetti diversi, ma sempre in parte di natura patologica.