G. Papi – Mostra Marinara , Marina di Ravenna RA-2009

La forma inquieta

Giancarlo Papi


La scultura di Mirella Saluzzo si realizza lontano dalla celebrazione di un contenuto metaforico o simbolico, realistico o mimetico, arrivando a porsi come campo di relazioni e di combinazioni di forme del tutto diverse da quelle naturalistiche. Si tratta di una scultura costruita su forme plastiche pure, realizzate e pensate secondo un ordine compositivo giocato sulla compresenza di equilibri e disarmonie che funzionano di per se stesse e su se stesse crescono attraverso opposizioni e congiunzioni, contrasti e assimilazioni, concentrazioni e dilatazioni. In questo senso, affermare che l’opera si libera del rapporto imitativo con le forme del reale non significa dichiarare la sua estraneità ai dati della natura, vuol dire piuttosto realizzare una visione in cui le energie essenziali del mondo vivono attraverso la concretezza di un ordine geometrico.

Ciò significa che la scultura di Mirella Saluzzo rivendica una assoluta autonomia, un sistema di regole variabili ma sempre riconducibili alla necessità di un equilibrio interno che insegue l’idea di una forma che si fa struttura, in un mondo non più regolato da un ordine, ma da una molteplicità di ordini possibili. Il dato più importante sta nel porre in relazione quelle che sono le dimensioni dell’opera, l’altezza, la larghezza e la profondità: condizioni che devono essere proporzionate anche attraverso le relazioni cromatiche, i valori della luce e dell’ombra, il divenire dello spazio che nasce nella variabilità del pieno e del vuoto.

Così che la scultura di Mirella Saluzzo non è un’arte prevedibile, simile a una formula matematica e neppure asseconda la percezione, ormai abituata ai tracciati ricorrenti, quindi ormai inavvertiti, dei circuiti tecnologici in cui scorrono le nostre vite. Vuole piuttosto essere un pensiero spaziale in grado di svelare dimensioni ulteriori e proiettare le forme oltre se stesse, in modo che ogni elemento costruttivo può essere vissuto molteplici volte, con funzioni espressive sempre diverse. Il linguaggio della scultura di Saluzzo non si affida alla modellazione, ma alla modulazione, costruisce lo spazio come luogo di molteplici strutturazioni della forma, ama il divenire dei rapporti ambientali, il processo più che il valore della staticità.

Costruita attraverso piani incurvati, ha una forma inquieta. Corteggia la simmetria per poi sedurla e abbandonarla, offre allo sguardo una sequenza di dure angolosità, di spigoli, di incrinature, di piegature, di linee spezzate. Sospesa, obliquamente fissata in angolo, è il segno di un pensiero, dinamico, che attraverso la spazio, si sofferma, ma non si placa. Abbandonata la stabilità, la collocazione al centro, la scultura diviene il modello di una sensibilità nuova. La forma non è più pensata come epicentro espressivo, ma come modalità di esistenza ed esperienza. Preferisce infiltrarsi nell’ambiente, entrare obliquamente e muovere i rapporti.

Dunque la tensione concettuale che accompagna questa scultura è legata a un forte senso di mobilità. Non di precarietà, cioè di una fragile ideazione e costituzione. La mobilità cui ci si riferisce può essere strutturalmente anche di grande dimensione e solidità. E’ il pensiero che abita la scultura a essersi fatto leggero. Quella leggerezza che se per diversi artisti ha assunto l’immagine della trasparenza, della mancanza, della virtualità, nel caso di Mirella Saluzzo, ha privilegiato quella della dislocazione, e del difficile equilibrio. Tutti segni di un essere qui e altrove. Di una presenza fisica che non si nega, che non rinuncia alle prerogative plastiche ma, al tempo stesso rimanda a una connessione di idee e di sensazioni.

C’è una pagina di David Hume in cui si parla di un architetto che crea una casa che non sta insieme, dove le finestre sono oblique, la porta non è parallela al cornicione, i muri pendono da una parte o dall’altra…

C’è anche nell’opera di Mirella Saluzzo un’idea di irregolarità. Irregolarità come metafora dell’esistenza.