G. Bonomi - Le Sculture di Mirella Saluzzo, dall'esprit de géométrie all' esprit de finesse

 

 

 

di Giorgio Bonomi

 

Il grande scienziato e filosofo del Seicento, Blaise Pascal, distingueva tra l’esprit de géométrie che è al fondamento della conoscenza scientifica e l’esprit de finesse che riguarda la conoscenza dell’uomo e dei suoi moti dell’animo. Naturalmente sono entrambi fondamentali per la conoscenza e la pratica di qualsiasi disciplina, anche se ognuna accentua ora l’una ora l’altra delle due facoltà dello Spirito umano.

 Ci piace ricordare, accanto a Pascal, quanto Immanuel Kant, cento anni dopo, teorizzò, cioè la distinzione tra il bello che si riferisce alla forma di un oggetto ed il sublime che attiene alle emozioni. Per l’arte Arthur Schopenhauer, riprendendo il concetto kantiano, dice che il “bello” è quel piacere che ci coglie di fronte all’opera, mentre il “sublime” è il saper sentire la vastità, l’emotività, la potenza che promana dall’oggetto osservato.

Questo apparato categoriale – sebbene appena accennato – ci permette di comprendere più nel profondo la scultura di Mirella Saluzzo, artista con un significativo operare, iniziato con la pittura – mai del tutto abbandonata – e continuato nella scultura (dalla fine degli anni Ottanta) con risultati notevoli. All’interno di un percorso rigoroso, in cui ogni passaggio successivo si lega al precedente, cioè senza rotture o bruschi cambiamenti, l’artista sviluppa, da un originario geometrismo ortogonale – anche se le primissime opere plastiche si presentavano con una sorta di forme fitoformi – fino ad oggi in cui ha completamente recuperato la linea curva e la rotondità.

Tutti gli interpreti del lavoro della Nostra, a cominciare da Luciano Caramel, il più lucido interprete dell’arte astratta, hanno sottolineato l’insegnamento – non solo ideale, ma concreto, all’Accademia di Brera – di uno dei maestri di Saluzzo, Luigi Veronesi, e questo è ben visibile nelle sculture che si offrono alla vista con lastre di alluminio, unite al legno, dipinte, in forme rettangolari o triangolari, ora piegate ora a formare una sorta di parallelepipedo, comunque sempre con linee rette e ortogonali predominanti e, a dispetto di Piet Mondrian[1], anche con qualche diagonale.

Ma alla Saluzzo non appartiene la rigidità altera ed arrogante, al contrario, sebbene rigorosa nel suo fare, ha sempre presente quel principio che un altro filosofo francese seicentesco, René Descartes, pose a base dell’Essere stesso, della consapevolezza della propria esistenza: il dubbio[2].

Si può ben comprendere questo osservando con attenzione quella sorta di “scala” che a metà degli anni Novanta l’artista realizzò e che, con i dovuti mutamenti, svilupperà fino ai tempi più recenti, ad esempio con Evasioni (2007): queste “scale” non sono, come quelle reali, dritte, rigide, sicure e solide nel loro movimento e nella loro funzione ascendenti, tali che, idealmente, permettano la “scalata al cielo”; al contrario sono, come tutte le cose umane, imperfette, “scorrette”, si piegano, si flettono in forme quasi “collassate”, proprio perché l’ascesa al cielo non è possibile nella realtà.

Così, in forme ideologicamente discrete ed esteticamente molto efficaci, Mirella Saluzzo instilla  l’“errore”, il  “dubbio”, la “non-certezza”, concetti – si badi – che non indicano affatto “insicurezza”, anzi: abbiamo un’arte che è consapevole e certa, ma lontana dagli Assoluti che, non “essendo” dell’uomo, tanti drammi hanno causato.

Nel 2000 e poi nel 2002 l’artista “scopre” la rotondità, infatti usa un tubolare di rame a creare una specie di spirale, in due opere suggestive.

E qui arriviamo ai giorni attuali in cui, dopo un esperimento nel 2011-2012 consistente nella costruzione dell’opera in forma tondeggiante, non a caso intitolata Into the Wave (Dentro l’onda), troviamo, come in questa mostra, lavori tutti articolati con un aspetto cilindrico, tanto verticale quanto orizzontale.

Abbiamo sculture realizzate con fasce di alluminio che “avvolgono” lo spazio, il “vuoto”, creando una sorta di torre, ancora una volta non strumento difensivo, arroccato nelle sue chiusure, strenuamente compatto, come le torri di guardia, bensì apparendo come costruzione che presenta qualche “dubbio”, qualche “fessura”, non ergendosi sicura e rigida: qui il pensiero ci porta al famoso progetto di Vladimir Tatlin per il monumento alla III Internazionale del 1919, con cui il costruttivista russo voleva erigere una torre in diagonale, a testimoniare il movimento contro la staticità (simbolo della Rivoluzione rispetto alla conservazione), e con le superfici non chiuse ma aperte.

Le “aperture”, i “tagli”, oltre a segnare un lontano ricordo di quelli di Fontana, il maestro di tanta arte contemporanea, per il senso di “attraversamento”, e di un “andare al di là”, rimandano al “respiro” ( tra l’altro, queste opere hanno una forma che fa pensare alla trachea) , all’“aria”, all’élan vital, come lo chiamava Henri Bergson.

 

Or dunque, queste annotazioni sono fatte a mero titolo esemplificativo, perché il senso e il significato di questi Colpi di vento sono ben più ricchi.

Se pensiamo alla storia dell’arte, non possiamo non ricordarci dell’uso della forma rotonda che fece il Barocco – stile che ha prodotto capolavori scultorei ed architettonici ineguagliati – ma anche, venendo al secolo XX, del costruttivismo o del modo di impiego del metallo, seppur differente, da parte dei due scultori americani Smith, David e Tony.

Abbiamo accennato al fatto che Saluzzo non ha mai abbandonato il colore: questo, infatti, resta come traccia dipinta su una parte della scultura, a volte come mimesi di una patina. Ed ancora: la “leggerezza” e il “movimento” sono sempre l’anima delle sue opere che, appunto, sembrano respirare, con quel movimento lieve, lento e costante che è proprio dei polmoni umani.

Comprendiamo ora perché abbiamo parlato di esprit de géométrie e di esprit de finesse, di bello e di sublime: sotto il segno dei primi concetti delle due dicotomie abbiamo potuto esaminare le sculture con le linee rette, con i secondi quelle che si offrono con la linea curva, con i taglio, la fessura, con i “dubbi”, costruttivi e riflessivi: Infatti è solo con le categorie di finesse e di sublime che possiamo apprezzare e capire fino in fondo, nei suoi aspetti emotivi e razionali, le opere, ma anche la natura, che non si presentano con i canoni “regolari”.

Infine, ci piace sottolineare che Mirella Saluzzo in tutta la sua contemporaneità linguistica, ci sospinge ad una riflessione che si affianca all’emotività che la sua scultura – in questo, quindi, “classica” – produce e ci immette in quel pensiero dove, come diceva Giacomo Leopardi ne L’infinito, “per poco / il cor non si spaura. […] / Così tra questa / Immensità s’annega il pensier mio: / E il naufragar m’è dolce in questo mare”.

 

Maggio 2015 


[1] È noto che Mondrian litigò con Theo van Doesburg, fino ad espellerlo dal movimento De Stijl, perché si era permesso di usare la diagonale! Mondrian, inoltre, appende un quadro a forma quadrata per uno dei vertici, dichiarando che così si poteva ottenere una diagonale senza rompere l’ortogonalità dell’opera.

[2] Diceva Descartes: “Dubito, ergo sum” (“Dubito, dunque sono”).