C. Cerritelli – Salsedine - 2012
Sulle onde della scultura
Claudio Cerritelli
1. Il tema dominante delle ultime ricerche di Mirella Saluzzo è il movimento dell’acqua come fluidità dello spazio nella sospensione del tempo esistenziale, sequenza dinamica di forme plastiche che galleggiano nel vuoto inseguendo il ritmo delle onde.
L’immagine sensoriale dell’acqua è la metafora preferita per indicare il profondo legame con la vastità sonora del mare, seguendo il filo dell’orizzonte come misura ambivalente dello spazio, desiderando sconfinare attraverso le vibrazioni della materia.
Il corpo instabile dell’acqua è dimensione inquieta sospinta da movimenti imprevedibili, continua rigenerazione della forma, soglia evocativa della natura che non ha confini, memoria del mare che si materializza nelle schiume della luce, mantenendo sempre viva la sua mutevole apparenza.
Le potenzialità costruttive della scultura si identificano nell’energia della percezione in divenire, condizione indispensabile per esprimere le avventure di Saluzzo che non dà mai la sensazione di produrre immagini definite, forme stagnanti, figure separate dal tutto, ma solo visioni pervase dal magnetismo spaziale dei flussi percettivi.
Il rapporto tra colore e forma plastica cresce e s’inonda di luminosi riverberi e cadenzate movenze spaziali, esso è tramite per sviluppare connessioni tra pittura e scultura attraverso continue analogie tra l’arte e lo scorrere della vita, stato d’incertezza, situazione di precario equilibrio, movimento pluridirezionale della forma che s’innalza e s’avvolge. L’esplorazione di queste relazioni ha sempre caratterizzato l’arte di Saluzzo nel suo processo di interrogazione dello spazio, è presente nei flussi disarticolati degli anni Ottanta, si accentua negli slittamenti volumetrici degli anni Novanta, per raggiungere all’inizio del 2000 nuovi equilibri tra le pieghe della superficie, differenti movimenti tra pieno e vuoto, contrapposizioni tra forme isolate e strutture istallate nell’ambiente. Dalla dimensione concentrata delle Isole l’artista passa alla visione espansiva della scultura, conquista lo spazio con tensioni strutturali che dalla parete si proiettano ben oltre,
fino a inglobare il referente simbolico dell’architettura. Si tratta di Evasioni dai canoni prestabiliti, dilatazioni delle geometrie plastiche in funzione di un’immagine che suscita insicurezza, ma anche capacità di sentire l’instabilità come valore positivo, vissuto senza esitazione, riscatto dall’appiattimento della comunicazione.
Oggi il discorso continua e affronta le insidie del presente, gli smarrimenti e gli sprofondamenti del visibile, gli affioramenti e le sottili trasparenze, con il pensiero immerso nelle profondità inconsce della memoria.
2. Le opere che per prime evocano il primordio ancestrale dell’acqua sono quelle dedicate a Inseguire l’idea (2007-2008), piccole superfici di alluminio dove Saluzzo persegue le traiettorie dinamiche del segno, muove l’immagine con lievi fresature su metallo per far vibrare la materia inerte.
Il peso dell’onda sfiora la superficie con slancio visionario, come se provenisse da lontano, dalla fluidità di respiri modulati tra la terra e il cielo, dallo stato d’empatia col mistero del mare come fonte d’immaginazione.
Nella sequenza delle quattro tavolette il segno crea cangianze e sfumature, gorghi e minime tensioni, tracce che salgono e scendono inseguendo qualcosa che sta sempre oltre, in attesa di congiungere l’onda con l’infinito. Contemporaneamente, la composizione plurima delle Maree (2008) sottopone lo sguardo a un percorso verticale, dove le quattro formelle dai profili irregolari sono diversamente inclinate sul fondo nero, con variazioni materiche tra l’opaco e il lucido. La parte bassa di ogni elemento metallico suggerisce un effetto di liquidità quasi specchiante, mentre la parte alta è ruvida e materica come la sostanza che si forma nelle basse e alte maree. Saluzzo elabora differenti consistenze che rispondono a un modo di guardare ravvicinato, sembra quasi “zoomare” porzioni di mare e di terra, fusione ininterrotta tra acqua e cielo, dualità costante di ogni forma che allude alla grande forza cosmologica della natura.
Al 2010 appartengono altre opere che vertono sulla contrapposizione di elementi simultanei, in Andante - mosso l’irregolarità geometrica dei quattro frammenti di alluminio gioca sulla compresenza di due differenti orizzonti: uno sottostante rigorosamente parallelo ai bordi del supporto, l’altro interno, mosso e discontinuo, che divide lo spazio con andamento fluido accentuando il contrasto tra il sopra e il
sotto.
Altri materiali entrano in scena accanto al metallo e al legno, per esempio l’uso del plexi arricchisce le possibilità di un diverso respiro delle superfici, questo carattere si avverte nella sommossa spazialità di Ondivago oppure nella fermezza orizzontale di Linea blu. Si tratta di opere in cui Saluzzo sperimenta il peso oggettuale del colore in rapporto al profilo aggettante delle lastre, stagliate sul bianco della parete con slittamenti sopra l’orizzonte, trascinati come dal vento dell’onda. La struttura di queste opere si avvicina alla dimensione combinatoria dell’assemblaggio, inteso come alterazione ritmica dello spazio, sintesi oggettuale di pittura e scultura, combinazione di piani lisci e rilevanze tattili, colori essenziali e sovrapposizioni plastiche, armonie cromatiche e contrasti materici. La riflessione sulle valenze bidimensionali della scultura si sviluppa ancor di più in Movimento su sfondo rosso (2011), una sottile lastra di alluminio dal profilo
ondulato si sovrappone alla sequenza di cinque piccole tele monocrome, come uno sciame di segni avvolti in un pulviscolo indistinto, sovrastati da un profondo ardore luminoso.
Il contrasto tra il colore unitario delle tele e il flusso chiaroscurale sotto l’orizzonte è un tema di lavoro che Saluzzo ha molto a cuore, dialogo tra la sua origine pittorica e l’esigenza di solidificare i valori atmosferici dell’aria e dell’acqua. Tale contrasto bipolare si avverte anche in Nero liquido (2011), gli snodi plastici della
costruzione giocano a dilatarsi nel ritmo della superficie come ali che si dispiegano nell’abisso del fondo, sospensione assoluta del tempo che spinge l’artista a squadernare le geometrie attraverso visioni frontali, inclinazioni laterali, allusioni di profondità, acrobazie sull’orlo dei perimetri.
3. Un passaggio successivo è rappresentato dalla serie degli Iceberg (2011), un insieme di cinque pezzi disposti in modo consequenziale per suggerire l’idea di variazione attraverso un percorso compatto e concatenato in un’unica visione.
Sulle superfici quadrate (pittura su tela) sono inserite forme metalliche che, partendo dalla base comune si modificano secondo diverse inclinazioni, sostenute da una forza che spinge verso l’alto, oltre l’orizzonte perfettamente in linea con i cinque elementi, come una regola metrica dello spazio che guida le deviazioni dell’occhio. In questo caso, l’atmosfera fluida è contrastata e quasi raggelata dalla durezza geometrica
delle forme che salgono dal sottofondo e spuntano a pelo d’acqua con tagli netti, staccandosi dal fremito dei segni, fresati e modificati da impasti d’ombra e fatui bagliori.
Per l’artista quest’immagine indica la condizione inquieta del tempo in cui viviamo, l’ansia di non affondare nel magma indistinto dell’esistenza, la volontà di star sospesi sul filo del possibile, immaginando l’arte come esercizio per misurare le idee nel momento stesso in cui le inseguiamo. Talvolta Saluzzo fantastica intorno alla seduzione della leggerezza, in tal senso torna a usare carta e grafite allo stato puro, mezzi congeniali
alla sua sensibilità grafica capace di trascrivere le mutevolezze dello spazio liquido.
In onda anomala (2011) le strisce di carte piegate e modulate sono sovrapposte a ritmi alterni sui fogli allineati in sequenza orizzontale, il paragone con il flusso acquatico è esaltato dalle ondulazioni geometriche che galleggiano nell’atmosfera chiaroscurale dello spazio. La sensazione è quella di un viaggio immaginario tra le onde del segno attraverso impulsi grafici con cui l’artista avvolge le singole immagini, come se l’onda potesse sviluppare traiettorie imprevedibili, percorsi invisibili, umori nascosti nella virtuale ampiezza del suo movimento.
A differenza degli altri materiali, la ricerca condotta sulla carta permette di sensibilizzare al massimo grado la qualità emozionale della luce che trapela in ogni tratto segnico, senza che vi sia mai un punto fisso, ma una mutevole corrispondenza tra ciò che appare evanescente e ciò che s’impone agli occhi. Del resto, quest’esigenza viene espressa a dovere anche quando Saluzzo lavora su lamiera, usando le spazzole per ricavare cangianze, vibrazioni, striature, effetti che nascono anche dagli impasti del colore, dall’attrito tra una materia e l’altra. Questo clima di ricerca intorno ai valori segnici non è mai trascurato, neppure quando l’artista si dedica alle grandi dimensioni, dove spesso il rischio è quello di tralasciare la lettura ravvicinata della superficie per potenziare l’impatto ambientale della scultura. Simile questione è alla base delle molteplici esplorazioni della sua identità, possibilità di relazione tra segno e costruzione, colore e materia, massa e vuoto, messa a fuoco dei valori di superficie in rapporto allo spazio circostante.
4. Una delle ultime sculture realizzate per questa mostra è un elogio dell’onda come spirale che si avvolge
su se stessa, un’opera alta quasi tre metri per due di ampiezza che si espande come un manto coperto di Salsedine.
Saluzzo non è nuova a questi slanci spaziali, già nel 1988 ha realizzato una scultura dedicata Al volo incline, qualche anno dopo ha immaginato un Volo legato (1991), imbrigliato negli spiragli di luce tra il pieno e del vuoto. Questa tensione si è sviluppata nel gioco delle Ali (1998), il desiderio è stato quello di valorizzare le componenti emozionali della geometria, le sue movenze che gravitano nella dimensione aerea.
In seguito, le imprese di maggior rilevanza sono opere (2004-2007) incentrate sull’immagine della scala
che s’inerpica verso l’infinito, a conquistare altezze del corpo e dello spirito, tramite verso imponderabili sconfinamenti, deviazioni in vista di qualcosa che è sempre altrove.
La misura di queste opere supera anche i quattro metri di altezza ed è legata al senso d’instabilità che aleggia
ovunque, equilibrio pericolante sottoposto al controllo percettivo di ogni spostamento, infatti le sfasature ritmiche si sviluppano attraverso avanzamenti e movimenti retrostanti.
Quest’espansione spaziale trova una verifica opposta nella forma racchiusa e stabile di Raccoglitore di suoni
(2007), una scultura di media dimensione che ingloba il peso del vuoto tra le trame perforate della lamiera,
luogo magico che accoglie i percorsi avvolgenti della mente in cerca di meditazione. Per tornare a Salsedine,
queste opere del passato sono la premessa per valutare il carattere plastico di questa grande onda che
Saluzzo ha realizzato come nucleo dominante della mostra, sintesi di tutti i movimenti interni alla sequenza
delle altre opere istallate a parete. Il cilindro inclinato intorno a cui si svolge l’immagine è l’asse del movimento sbilanciato che la scultura assume per seguire il proprio dilatarsi, esso attira lo spettatore nell’apertura dello spazio, in modo che lo sguardo possa entrare a far parte dell’opera, girarvi attorno
fino a esserne continuamente avvolto e modificato. Il corpo dell’onda si muove con eloquenza trasformando lo squilibrio iniziale nell’armonico dilatarsi della superficie, trafitta da tagli e incisioni che mettono in relazione l’interno e l’esterno. La forma non è mai la stessa, la geometria espansiva si altera con un senso di smarrimento, sposta l’assetto degli elementi costruttivi verso qualcosa che fugge per altri versi, per poi tornare al punto di partenza. Questa sensazione è rafforzata dal fatto che la scultura offre un percorso di lettura bi-frontale, un andamento concavo e convesso, con effetti di deformazione che fanno sentire il respiro dell’onda, la sua forza trattenuta nella fluttuazione trasversale delle lamine di alluminio.
A ciò si aggiungono le abrasioni epidermiche ottenute con la consueta sensibilità segnica, capacità di elargire effetti tattili e sensazioni sonore, scritture disseminate di luce che si propagano come sospinte dalla brezza. A questo punto, lo sguardo può abbracciare tutta la scultura e salire fino all’estremità del cilindro dove è inserita una leva, una chiave per riavvolgere l’onda e disvelare nuovamente le asimmetrie
della visione, seguendo l’avvitamento del suo ritmo infinito. Lontana sia dal rigore del minimalismo sia dal mimetismo della ricerca figurale, Saluzzo esplora un’idea di scultura come spazio inquieto, sollecitato dalle qualità dinamiche dei materiali commisurati alle diverse configurazioni plastiche. Ogni opera è il punto
d’incontro tra la fermezza strutturale della visione e lo stato d’animo del segno, tra la definizione della forma e il suo lento modificarsi, senza che nulla possa fermare l’onda dei pensieri che inseguono l’emozione della geometria, desiderio di esplorare altri orizzonti di senso tra le profondità della superficie.