A. Madesani - Catalogo Tensioni nel Vuoto, Spaziotemporaneo Milano-2008

Tensioni nel vuoto

Note sul lavoro di Mirella Saluzzo

di Angela Madesani


Catalogo Mostra “Tensioni nel vuoto”

Spaziotemporaneo - Milano 2008

A partire dagli anni Ottanta molti sono i testi che i critici hanno scritto sulla ricerca di Mirella Saluzzo, molte sono le cose che sono già state dette sul suo lavoro, per cui come accade ogni volta in questi casi si rischia di cadere nella ripetizione.

Ma i lavori che sono qui proposti sono nuovi, cronologicamente e non solo: costituiscono un passo ulteriore nel cammino di questa artista schiva e riservata che da anni opera tra la sua città di adozione, Ravenna, e Milano, dove ha uno studio nel cuore di Chinatown.

Poche le opere in mostra allo Spaziotemporaneo, ma significative di questa sua nuova stagione. Un grande elemento, una colonna di metallo alta più di due metri costituisce il cuore della mostra. Al suo interno è il colore, che si pone in dialogo con la materia nella sua mera essenza. Colore che è determinante nella ricerca di Saluzzo, formatasi all’Accademia di Brera con Luigi Veronesi, presso la sua cattedra di cromatologia. Il colore è una sorta di collegamento con il circostante, che diviene a maggior ragione fondamentale in questo momento del suo operare.

Nella parte alta della colonna sono dei tagli, degli schermi che si affacciano al vuoto, al nulla, forse per catturarlo, per introiettarlo, in un tentativo di scoperta e di appropriazione. La colonna, in realtà, è un raccoglitore di suoni, un contenitore del circostante, senza definizione alcuna. Una forma che rimanda a una sua scultura di alcuni anni fa intitolata “Ascoltare la luna”. È un atteggiamento questo che contraddistingue Mirella Saluzzo, della quale è palese la volontà, il bisogno di ascoltare, di osservare l’interlocutore che sia persona o semplicemente altro da sé, mondo.

Nella sua ricerca, inoltre, vi è un’attrazione speciale verso il vuoto, la leggerezza, forse quella leggerezza onerosa, densa, di calviniana1 memoria, con un rimando fin troppo utilizzato.

Saluzzo vuole vedere cosa c’è nel e oltre il vuoto, in un’operazione impossibile, un’utopia dello sguardo che strettamente si collega all’arte del Novecento della quale la sua ricerca è figlia. Si pensi all’importanza che l’opera di Lucio Fontana ha per un lavoro come il suo. In passato lei, ligure di nascita2, ha lavorato con la terra cotta colorata dalla quale è partita per il suo viaggio di spoliazione, di svuotamento per giungere, appunto, all’essenza della forma.

In mostra è anche una grande scala, forma che torna sovente nella sua ricerca. Una scala impraticabile che riesce a fornire l’idea di una faticosa, in realtà impossibile, arrampicata verso l’alto. Verso cosa? L’assoluto? Non si fornisce risposta. È la difficoltà del quotidiano, la parte impossibile che è nella vita di ciascuno di noi. L’impossibilità di giungere alla meta. Si tratta di una riflessione di matrice prettamente esistenziale che Saluzzo affronta con quei toni bassi, pacati che caratterizzano il suo lavoro e in fondo la sua persona. Nessuna declamazione, dichiarazione perentoria, piuttosto domande, dubbi, un procedere il suo per via di tentativi. Si tenta di giungere all’equilibrio, fisico, ma anche spirituale per vederci meglio, per navigare con più serenità. Con una scala di questo tipo Saluzzo sottolinea lo slittamento, l’instabilità delle cose, sempre precarie, incapaci, come le sue scale, di mantenersi perfettamente erette.

L’impulso principale, proprio per andare oltre, è quello di togliersi le zavorre che la tengono ferma, per salire, attraverso un lavoro come il suo, che è difficile collocare nel mero ambito della scultura. È piuttosto una sorta di koiné in cui il verbo della scultura si fonde con quello della grafica, sottolineando il valore del segno e ancora una volta si torna all’importanza che ha avuto per lei la lezione del suo maestro. Ma fortemente grafica è anche la dimensione del suo circostante ravennate, segnato dalla cultura bizantina, che sicuramente pesa sulle sue scelte.

La scala è lo svolgimento della colonna, la sua forma in piano come nei giochi di costruzioni di carta dei bambini. Le opere si contengono in un gioco ineccepibile di positivo e negativo.

Da sempre nella sua ricerca un ruolo fondamentale è svolto dall’ombra. È la presenza di quello che c’è e non si vede, una presenza interiore che talvolta, come in Brancusi, può essere addirittura più o meno inconscio punto di partenza3. L’ombra, più facilmente, è testimonianza di una presenza in una continua variazione: slittamento, modifica e dunque ancora una volta precarietà. Ombra è mistero, è inganno, è l’effimero, da un’attimo all’altro può scomparire e tornare nel nulla, nel vuoto dal quale Saluzzo è attratta.

Fondamentale è per lei la realizzazione delle cose alla quale, anche se aiutata, deve essere sempre presente. Il suo rapporto con i materiali è determinante. Così che il momento iniziale di ogni suo lavoro è costituito da una maquette, più che da disegni e progetti grafici.

La tensione è a manipolare, cercando un equilibrio più o meno naturale fra i diversi elementi con cui si trova a operare alla ricerca della tridimensionalità.

1 Alludo ancora una volta alla lezione sulla leggerezza di Italo Calvino contenuto in Lezioni americane, Sei proposte per il prossimo millennio, Garzanti, Milano, 1988.


2 Si pensi alle ricerche e ai lavori con la ceramica di Lucio Fontana a Albisola presso le officine di Tullio Mazzotti.


3 In realtà per Brancusi, e si veda in tal senso la lettura di Victor Stoichita (Breve storia dell’ombra Dalle origini della pittura alla Pop Art, Il Saggiatore, Milano, 2000) relativa alla ricerca fotografica dello scultore rumeno.