L. Caramel - Catalogo Mirella Saluzzo Sculture 1989-2003, Edizioni Essegi Ravenna-2004

Mirella Saluzzo Sculture 1989-2003

di Luciano Caramel


Catalogo Mostra ”Mirella Saluzzo Sculture”
Rocca Trecentesca di Riolo Terme - Ravenna
Maggio 2004

 

Sculture 1989-2003. il titolo è laconico. E sa di inventario, di archiviazione. Nello stile antiretorico, asciutto, che di Mirella Saluzzo è proprio. Ma non ci si lasci ingannare. Una volta di più l'artista ci offre stimoli plurimi, e pluridirezionati, anche se giocati su di un registro che nulla pare (sottolineo il "pare", perché in verità il percorso di Mirella ha avuto sempre una sua interna continuità) abbia da spartire col clima di diffusa, energetica inventività che caratterizzò il suo ingresso pubblico sulla scena dell'arte.

Allora, si era nel 1983 (vent'anni fa... ), presentando la sua prima personale potevo scrivere dì «panico, fiabesco, e talvolta quasi stregato, variare di forme», di «caleidoscopico succedersi di immagini», di «cangiante metamorfismo». In termini poi non molto diversi da quelli che avrei poi usato nel 1986, ancora introducendo una sua mostra personale, stimolato dal personaggio che agitava le tele, e la fantasia della pittrice-ceramista: il Mokele Mbembe, una specie di drago preistorico che la scienza voleva estinto, ma che la fantasia popolare e l'immaginazione di Saluzzo facevano rivivere come sogno di libertà e felicità.

C'era già tuttavia qualcosa - nelle pitture esposte, più che nelle ceramiche - che induceva ad andare oltre l'apparenza, non solo nella direzione apotropaica e difensiva espressa da Maurizio Bonicatti, tra i primi a riconoscere le qualità della Saluzzo, ma in quella anche di un'interiorizzazione del dipingere nuova, e di un suo nuovo controllo: come un distanziarsi, nell'immagine, dal referente emotivo, decantando la figurazione con accenti neometafisici e agendo sulla sagomatura e il posizionamento delle parti dell'opera, unitaria nell'esito, ma frutto del montaggio di più pannelli, diversamente organizzati. Tanto che - e mi sorprendo nel constatarlo, rileggendo nell'antologia qui pubblicata quel vecchio pezzo, ormai sepolto nella memoria - m'era capitato di soffermarmi, nello scritto, sull'alunnato di Mirella a Brera, che seguii da vicino (ahimè non come suo compagno...), e sul suo scegliere quale punto di riferimento soprattutto Luigi Veronesi, in quegli anni insegnante nell'Accademia di cromatologia. Preferenza, è facile capirlo, non priva di significato. Infatti, come affermavo in quelle pagine, «l'insegnamento di Veronesi l'aveva attratta verso un atteggiamento sì non privo di componenti analitiche, ma estraneo all'autoriflessività propria del concettuale», che in quel tempo teneva banco. «Per cui», continuavo, «il lavoro di Mirella degli anni settanta si svolgeva entro i termini dell'applicazione concreta al dipingere, con privilegiata attenzione al colore e con intenzioni lirico-espressive, oltre che di ricerca».

Il filo di partenza della ricognizione attuata in questo libro entro l'attività ultima della Saluzzo è posto proprio sul precisarsi, nell'esperienza dell'attualità, di quelle remote radici, giunto a maturazione nel 1989, termine post quem della nostra analisi, ai cui frutti sono conseguentemente rivolte le prime immagini, a cominciare dalla veduta di insieme, di quadri e sculture, di quella congiuntura, dislocati sulle pareti e nello spazio della Galleria Il Patio di Ravenna. Ne scriveva con acutezza Elena Pontiggia, muovendo dalla pittura, "colpita" dal «pacato contrapporsi tra forme arcuate e taglienti, assolutamente precise nella loro collocazione spaziale, e una singolare velatura che si svolge sulla superficie, con effetti insieme dinamici e sfuggenti». Per cui «si assiste in questi dipinti alla rappresentazione di un mondo minimale e in qualche modo acuminato, temperato dal sollievo aereo di velature leggere, di aliti di colore».

Passando alla scultura, alla quale prevalentemente Mirella si dedicherà negli anni successivi, fino ad oggi, e alla quale quindi è dedicato questo volume, la Pontiggia osservava che in essa la Saluzzo «giunge a una pronuncia più nitida ed essenziale. Un procedimento di semplificazione o di sintesi ha impegnato e coinvolto la giovane artista», pur rimanendo, «a segnare la coerenza e la continuità tra le precedenti ricerche e quelle di oggi, una identica, sottile commozione. La commozione - tutta mentale e dunque silenziosa, reticente - di uno sguardo che si posa sulle cose nell'attimo stesso del loro rivelarsi. E si rende conto che quel rivelarsi è già uno scomparire».

La diagnosi scavalca addirittura queste opere, prefigurando le coordinate di maggior rarefazione ed aurorale levità che andranno definendosi negli anni Novanta. Grazie anche al ruolo, tutt’altro che marginale, del colore, che Mirella non abbandona, ma fonde nelle sue strutture, come del resto già in precedenza aveva fatto plasmando le sue ceramiche fitomorfe, o anche visionariamente zoomorfe (come nel succitato Mokele Mbembe), però con più insistita e materica plasticità, e in definitiva con effetti opposti a quelli attinti in opere come Ascoltare la luna, del 1991, o Senza titolo, Volo legato del 1991.

Nelle sculture del 1989, nella serie Carboni ardenti, l'accento era tuttavia più sulla potenza delle strutture e la forza del loro inserimento nello spazio, che non solo non subiva il condizionamento ambientale, ma modificava il contesto. Con un'intrusione, d'altronde, non "brutalista", a dispetto dei tronchi inglobati nella costruzione, per la calibratura degli spessori e degli equilibri, a cui concorreva già il colore, nelle ampie stesure unificanti l'insieme e nei tagli geometrizzanti, in specie in diagonale, che attivizzano le superfìci. Protagoniste, ormai, dell'immagine, seppur, in questa fase, nella dialettica con la fìsica pienezza dei tronchi. Che fin dal 1991 vengono assorbiti intimamente nella totalità dell'opera, attraverso il colore, di nuovo, ma pure per il loro necessario inerire al congegnamento costruttivo.

Il rilievo di questa fase, ricca sperimentalmente e creativamente, è assai notevole. In essa si trovano in nuce molti degli sviluppi successivi del lavoro di Mirella, anche proprio nel concorrere in esso di pittura e scultura, colore e volume, leggerezza e peso, che della poetica e dell'opera della Saluzzo è caratterizzante. Intreccio di specificità e statuti, questo, dall'artista svolto con l'apertura problematica propria del rinnovamento della cultura artistica contemporanea, senza peraltro trasformare in obbiettivo quella trasversalità che per lei resta un mezzo, che non presuppone la rinuncia, o addirittura il rifiuto, nei confronti di peculiarità statutarie dei diversi linguaggi, alle quali l'artista non si preclude il ricorso, seppur strumentale. Ecco che, come osserva Enzo Cirone in un intervento del 1991, «luce e colore si ritrovano qui nella luccicanza del metallo, nel suo trasparire, corpo a corpo, tra le pennellate distese, non più a rivestire, ma di nuovo a drammatizzare superfici e volumi, aggetti e profondità, tensioni e flessioni della forma». Osservazioni che possono senza difficoltà coesistere con quelle, di diversa intonazione, nel medesimo anno, di Alberto Lui, che scrive: «Vuoti e pieni,"caldi" e freddi, sinuosita e rigidezze:... come a dire che la ricerca di Mirella Saluzzo, partita da un'origine pittorica - nella quale vengono considerate le due dimensioni - addiviene mediante una ricerca meticolosa [...] a conquistare la terza dimensione; anche se, in realtà, la sua scultura presenta sempre una sorta di frontalità; forse questa è la scommessa che l'artista mette in atto e, mediante il proprio lavoro, pone in opera».

Le molte illustrazioni di questo volume documentano quanto s'è appena enunciato con l'evidenza dei fatti, consentendo di verificare, seppur per exempla, la ricchezza problematica del pensare e fare della Saluzzo. Così, tra gli altri aspetti, spicca il suo accanirsi su di un'immagine geometrica non "assoluta", nel senso etimologico del termine, ma insieme non compromessa col fenomeno fino a perdere la sua emblematica esemplarità. Dove il progetto resta pregiudiziale, seppur nell'unico modo possibile, ossia come intenzionalità formativa calata nella determinata concretezza del fare e di quanto con esso è implicato, dalle materie allo spazio. In una comprensività di poetica e processuale che ha un suo posto nell'orizzonte della scultura europea, a partire dalla «riflessione non episodica sia sui portati delle avanguardie storiche che sulle "nuove" concezioni spaziali emerse tra Stati Uniti e Gran Bretagna al declinare degli anni Cinquanta» opportunamente richiamata da Walter Guadagnini nel 1996, nel pieno ormai della maturità della Saluzzo, e prendendo significativamente ad insegna del suo testo il titolo della serie di sculture elaborata dall'artista a metà degli anni novanta, Slittamenti. Riflessione che ha avuto, e Guadagnini lo ricorda, importanti ripercussioni e sviluppi in Italia, entro i quali a tutto diritto può essere collocata Mirella Saluzzo, che, come prova la sua attività in tutti gli anni qui considerati, fino al momento di particolare fertilità che proprio ora l'artista sta attraversando, ha la freschezza di rimettere sempre in discussione il suo fare, pur nella coerenza problematica della linea di ricerca scelta, anche con affondi molto particolari, quale quello attuato di recente nella serie delle Isole.