E. Cirone - Catalogo Mirella Saluzzo, Edizioni Essegi-1991

La necessità del fare

di Enzo Cirone


Catalogo mostra Mirella Saluzzo

Galleria Avida Dollars - Milano

Galleria L’Incontro – Imola

Galleria Duemme – Genova

Edizioni Essegi 1991



C'è nell'aria schiva di certi artisti come una specie di pudore, il sentimento
di una difficoltà e insieme la consapevolezza che il percorso intrapreso non
può essere abbandonato perché quel percorso interseca la propria vita. Dipin-
gere allora può diventare per alcuni di loro quella che Artaud chiamava la «pietra
da macina che il povero Van Gogh, il folle, portò tutta la vita sul collo. La
pietra di dipingere senza sapere ne per cosa ne per dove».

La mitologia dei maledetti ha lasciato oggi, per fortuna, il posto ad un atteg-
giamento più criticamente distaccato, ad una coscienza più ironicamente di-
sposta a misurarsi col mondo e insieme più lucidamente determinata allo scon-
tro, tant'è che gli artisti sempre di più sanno di non essere soli e che il loro
lavoro, per quanto verticalmente vissuto, si dispone su un orizzonte di cultura
che lo parla, lo interpreta, lo giudica. Mirella Saluzzo è tra questi artisti che
vivono con intensità gli eventi del proprio dipingere assecondandone, da un
lato, l'insorgenza dai recessi più lontani della loro interiorità, dall'altro tempe-
randone gli umori in una forma che tende a farsi segno di un'intenzione, luo-
go di riconoscimento di un esserci. Il percorso di Mirella Saluzzo, quello alme-
no che l'artista ha scelto di compiere dall'inizio degli anni '80, prende avvio
con una figuratività risentita in cui la pennellata breve e ritornante scompone
la forma nei suoi diversi gradienti cromatici restituendo le immagini in un tes-
suto pittorico mobilissimo. Così ricostruite, le immagini inventano una visio-
ne del mondo lontana dalla sua nozione abituale: memorie fauve, espressioni-
ste, divisioniste alimentano e sostengono l'apparizione di figure sospese tra
la favola e il mito, ma sempre animate da un'apprensione, da una sorta d'ansia
che si manifesta nell'attivazione nervosa del colore e nella ricerca dei suoi con-
trasti via via più netti e stridenti. L'esperienza della scultura, l'esperienza del
modellare, del confronto diretto con la materia e con la forma che concreta-
mente occupa lo spazio, rappresentano lo sviluppo coerente di un bisogno e
soddisfano una voglia di figurare che la pittura, da sola, non esaurisce. Agli
inizi degli anni '80 Mirella Saluzzo comincia così a modellare le sue forme,
ancora vagamente zoomorfe, nella creta: la plastica è ancora nervosa, affidata
ad una materia piegata, incisa, tagliata, graffiata, pizzicata, che lascia al colore
il ruolo di rivestire un corpo ribelle che si torce; mentre negli ultimi anni, con
un intento più costruttivo, compone assemblando grandi fogli di alluminio a
brevi tronchi d'albero: qui il colore assume il compito di ricondurre ad una
stessa misura pittorica l'eterogeneità dei materiali restituendoli all'identità di
un'opera che recupera ad un livello di concettualità più astratta quel conflitto
tra forma e forza che segna tutto il lavoro precedente. Luce e colore si ritrova-
no qui nella luccicanza del metallo, nel suo trasparire, corpo a corpo, tra le
pennellate distese non più a rivestire, ma di nuovo a drammatizzare superfìci
e volumi, aggetti e profondità, tensioni e flessioni della forma. Nel percorso
dell'artista questo momento appare cruciale e sembra riassumere il lavoro pre-
cedente in una formatività improntata ad un più saldo controllo del proprio
sentire, un sentire che si è fatto esso stesso più consapevole nell'esercizio del
fare, nella pratica del figurare, del dipingere e del modellare. Un sentire che
negli ultimi lavori può tornare a verificarsi sulla tela, su una superficie spesso
dipinta con poco di colore, ma segnata in rilievo da quello stesso metallo che
ora si assottiglia in striscie sottili disponendosi a misurare spazi di effusione
più meditata. L'intento narrativo che si risolveva nella configurazione di forme-
oggetto ancora legate ad una seppure vaga verosimiglianza e ad un fondamen-
tale organicismo, appare qui superato in una dimensione compositiva più at-
tenta all'essenzialità. Il colore, tenuto su registri tonali più bassi, o ridotto tal-
volta al nero e al blu oltremare, rende la tela un campo vibrato, il luogo pro-
fondo di una spazialità tutta pittorica coltivata nella sua virtualità con la sa-
pienza dell'artificio, ma anche con una nuova disponibilità al silenzio, al non
detto, affidando a pochi segni il compito di suggerire e di indicare piuttosto
che rappresentare o raccontare. Su questa superficie che la pittura muove, il
metallo si raccoglie in fasci, si avviluppa in grovigli, si flette in tensioni modu-
late inventando traiettorie, ritmi, fughe, nodi intrecci in un'evenienza della
materia che si attualizza in forma. Con un'immediatezza solo apparente, m
effetti risultante da un'approfondita confidenza con i mezzi e con il loro im-
piego intenzionato, Mirella Saluzzo verifica le diverse possibilità di aggregare
o movimentare quella forma giocando la relazione tra «figura» e «sfondo» nel
senso di una reciproca assimilazione o in quello di una più o meno marcata
differenza. Trascorrendo da un'opera all'altra, il metallo e la tela, l'oggetto
e il suo piano di posa, nel loro diverso relazionarsi, confrontano direttamente
le loro qualità di materie e le loro valenze estetiche mettendosi a senso tra
loro. La tela dipinta nella sua superficialità diventa luogo di emergenza di una
forma, condizione e limite del suo mostrarsi, ma quella forma rinnega intanto
il suo stato di imperturbato e levigato metallo per lasciarsi coprire da un colo-
re che la consegna ad un spazio di artificio mentre la riscatta liricamente come
segno poetico.

L'artista inventa così nella materia plastica e pittorica la possibilità di modula-
re un ordine indiziando, attraverso un atto trasformativo, una progettualità
non solo estetica che prende le distanze sia da ogni tentazione brut, sia da
ogni enfasi sul ready-made, sia dal pragmatismo informale che trasforma la
pittura in materia, sia dal feticismo pop che trasforma le cose in oggetti d’ar-
te: una progettualità che, come ogni atto di linguaggio, dilata i suoi effetti al
di là dell'opera proponendosi come modalità esemplare di un rapporto tra se
e sé e tra sé e il mondo. Artificio e natura, natura e cultura si confermano
così come temi cari ali' artista in un percorso già lungo e ad ogni stazione anco
ra all'inizio, ma assunti qui nella loro veste epocale, essi identificano, al di
là di ogni rappresentazione, il tempo nuovo in cui il rigore delle categorie se-
parate lascia il posto a nuove connessioni e a nuove effettualità dentro e fuori
di noi.